10 Giu IL DIRITTO DI RECESSO PER L’IMPRENDITORE
Molto spesso gli imprenditori, nell’ambito della loro attività, si chiedono se possono recedere da un contratto. Bisogna partire dal presupposto che il contratto vincola le parti (come dice il codice civile articolo 1372 il contratto ha “forza di legge tra le parti”) e non può essere sciolto se non per mutuo consenso (cioè se tutte le parti sono d’accordo sul farlo venire meno) o per le cause ammesse dalla legge. Esso quindi vincola le parti a quanto è in esso espressamente stabilito, ma anche a tutte le conseguenze che ne derivano secondo la legge e anche secondo gli usi (es .quelli raccolti presso le Camere di Commercio) come recita espressamente l’articolo 1374.
In linea di principio non è quindi ammesso il recesso unilaterale da un contratto cioè non è previsto il diritto di pentirsi della stipulazione (jus poenitendi come lo chiamavano gli antichi romani, diritto di ripensamento in terminologia moderna).
Quando è possibile il recesso? Tuttavia il contratto stesso oppure, in altri casi, la legge può prevedere questa possibilità. “L’art. 1373 del codice civile parla di recesso unilaterale e così recita: Se a una delle parti è attribuita la facoltà di recedere dal contratto tale facoltà può essere esercitata fino a che il contratto non abbia avuto un principio di esecuzione. Nei contratti ad esecuzione periodica o continuata tale facoltà può essere esercitata anche successivamente ma il recesso non ha effetto per le prestazioni già eseguite o in corso di esecuzione.” Il recesso è quindi possibile in tutti i casi in cui nel contratto vi è una apposita clausola che lo permette: in questo caso si parla di recesso convenzionale ai sensi dell’articolo 1373 del codice civile.
Nei casi di recesso convenzionale spesso si pone il problema della sorte degli eventuali acconti versati in funzione di anticipo del prezzo. In questo caso si parla di caparra penitenziale (1386 c.c.). “Se nel contratto è stipulato il diritto di recesso per una o per entrambe le parti, la caparra ha solo funzione di corrispettivo per il recesso (art. 1386, c. 1°). In questo caso il recedente perde la caparra data o deve restituire il doppio di quella che ha ricevuto (art. 1386, c. 2°).”
Più raramente troviamo la cosiddetta multa penitenziale (1373 comma 3 c.c.) cioè il caso in cui per poter esercitare il recesso del contratto bisogna versare una determinata cifra (che non era un acconto sul prezzo). In pratica per liberarsi (per recedere) nel contratto era stata stabilita la prestazione di un corrispettivo (art.1373 c.c. 3 comma). In questo caso il recesso si perfeziona dunque con una dazione e non con una dichiarazione.
Un caso più noto ma diverso, da non confondere con i precedenti, è quello della cosiddetta caparra confirmatoria 1385 c.c. (da non confondere con la caparra penitenziale che abbiamo menzionato prima). In questo caso (se è espressamente previsto nel contratto che la somma è stata versata titolo di caparra confirmatoria e non di semplice acconto) se vi sarà inadempimento della parte che ha versato la caparra questa perderà la caparra a suo tempo versata. Se invece si renderà inadempiente la parte che ha ricevuto la caparra questi dovrà restituire il doppio della somma ricevuta. Nel caso di caparra confirmatoria quindi siamo nella diversa ipotesi dell’inadempimento (di cui la perdita della caparra o il versamento del doppio costituisce sanzione, una liquidazione anticipata del danno) negli altri due casi (caparra penitenziale e multa penitenziale) siamo in ipotesi di recesso dal contratto (ius poenitendi) per cui la somma che si perde o si versa è il corrispettivo per il diritto di recesso riconosciuto al contraente.
In altri casi il diritto di recesso è stabilito dalla legge, in questi casi si parla del c.d. recesso “legale”. In questi casi la possibilità di recedere è espressamente prevista dalla legge per tutta una serie di singoli contratti ad es. somministrazione (o fornitura) a tempo indeterminato, affitto, appalto, trasporto, mandato, commissione, spedizione, deposito, comodato, d’opera, ecc…), è cioè possibile recedere dal contratto anche se mancasse una clausola apposita.
Un caso generale di diritto di recesso previsto dalla legge è quello dei contratti di durata, (vale a dire quei contratti in cui la durata è indeterminata): essendo il vincolo contrattuale durevole le parti devono potersi liberare. Sono queste le ipotesi come il contratto di agenzia art. 1750 c.c., il contratto di conto corrente articolo 1833 c.c. eccetera. La legge stabilisce in generale in questi casi L’onere di dare un congruo preavviso prima del recesso. A tale riguardo la giurisprudenza (di recente la Cassazione con ordinanza 9271 del 2017) ritiene che, anche in mancanza del rispetto dei termini di preavviso, il recesso esercitato sia valido ed efficace, ma la parte recedente debba risarcire la controparte.
In alcuni tipi di contratto la legge attribuisce ad una sola parte il diritto di recedere in qualsiasi momento come nel caso del committente nell’appalto (art.1671 c.c.) o del committente nel contratto di lavoro autonomo (art. 2227c.c.) o al cliente nel caso di incarico dato al professionista (art. 2237c.c.).
In alcuni casi la legge subordina il diritto di recedere ad una giusta causa come nel caso dell’articolo 2237 comma 2 c.c. per il professionista o nel caso del socio di una società a tempo indeterminato (art.2285 numero 2 c.c.) o nel caso di mandato (art. 1727 c.c.).
È necessario precisare che l’ipotesi che abbiamo visto esulano dalle ipotesi di recesso del consumatore (all’articolo 52 del codice del consumo) questo perché l’imprenditore, anche individuale, non è mai consumatore quando esercita la sua attività.
Dimitri De Rada
Avvocato, è autore di numerose monografie ed altre pubblicazioni giuridiche, docente presso l’Università la Sapienza di Roma (Master in Diritto Privato Europeo), è stato professore a contratto presso il Politecnico di Milano visiting researcher presso la Fordham University, New York.